ANDREA IL GROSSO
Fosse vissuto all'epoca dei cavalieri
e dei trovatori, lo avrebbero chiamato Andrea il Grosso, non per
irriderlo nella sua fisicità, quanto per marcarne il contrasto con i
sentimenti che gli accendono il desiderio di dedicarsi all'arte. Né
Acerbi si è avvicinato all'arte perché ad una certa età ha avvertito
bisogno di modelle, come Achille Campanile sostiene avvenga per certuni.
Il suo presentarsi sulla scena, rendendo palese un'attività fino ad
allora coltivata come piccolo vizio nei ritagli di tempo, ha coinciso
con un arresto della vita quotidiana quale si augurerebbe solo al
miglior nemico. Così che la mai del tutto sopita passione del disegno e
della pittura ha potuto, nelle ore finalmente libere, riaccendersi e
dispiegarsi senza più freni. Acerbi è per l'arte una sorta di enfant
en retard. La curiosità e la smania di creare, che con continuità di
impegno ora lo travagliano, lo hanno spinto nella nostra stamperia
alcuni anni fa. Ricordava, dai tempi di ragazzo con il maestro di
disegno, qualcosa di vago sull'acquaforte, in generale sull'incisione. E
da noi venne a cercare un modo che desse la forma migliore alla
riproduzione della sua sensibilità. Raramente abbiamo conosciuto
"giovane" artista così entusiasta e avido di penetrare i
segreti dell'incidere e dello stampare. Dopo aver sperimentato
l'acquaforte, l'acquatinta, la litografia tradizionale, è stato
maggiormente attratto dall'incisione su linoleum, tecnica per altro
piuttosto rara tra gli artisti, appropriandosi in breve del metodo.
Dipinto un quadretto a olio, voleva tradurlo in linoleum per apprezzare
le differenze di linguaggio. Trovati dei colori a stampa congeniali, voleva vederne altri.
Innamoratosi di un soggetto, lo sviluppava a fondo per poi passare a
nuovo amore. Ed è questa foga di provare che lo ha sospinto
dall'incisione alla pittura ad olio, da questa alla scultura, alla
scrittura, al libro illustrato. Dove vorrà mai arrivare?
Acerbi possiede una vena caricaturale, grottesca, che si manifesta
appieno nelle scene con figure. Forse ricordi di gioventù resi ridicoli
dal tempo, ricordi di balere o di case chiuse. Forme naif, ma nemmeno
tanto, vicine più, nelle stampe, a un tono popolare, da fogli d'Epinal.
Certo che ora, per strada o al ristorante, mi capita di vedere degli
"acerbi": qualche vecchio gagà col cappello tinto o una
carampana che affida a un collarino l'idea di giovinezza.
Acerbi ritrae, con buon occhio nel cogliere i dati caratteristici della
persona o dell'animale, arrivando anche spesso a piacevoli sintesi.
Nel ritratto del padre, in quelli della madre, della moglie, dei propri
cani e nel migliore forse di tutti, il ritratto di Caterina. Ma
interessanti sono pure le nature morte a sfondo scuro, come la
beccaccia, che richiama certa pittura del Seicento. Acerbi dipinge
paesaggi. Trascinato dei miracoli cromatici che coglie in natura, si
butta in romantiche raffigurazioni di prati e di cieli dal sapore
turneriano, quadri in cui si avvale spesso di aggiunte materiche.
Acerbi infine scrive. Non sazio di sgorbie e pennelli ha affrontato con
il candore del neofita questa ostica arte. I "Liberi Pensieri"
e "Il Giallo", da lui scritti e illustrati, riassumono con
precisione il suo essere artista magmatico: talvolta grottesco e
primitivo, altre sentimentale, romantico, facile alla commozione.
Ma la cosa migliore che Andrea il Grosso sa fare, a differenza di tanti,
è non prendersi troppo sul serio, perché l'arte non è il mestiere del
dilettante, ma il suo divertimento. Ed è per altro solo un dilettante
di talento quale Acerbi che riesce ad avere un rapporto veramente umano,
semplice e fecondo con gli oggetti del suo interesse.
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